BOSTRENGO: antichissima ricetta?
Attualmente in Apecchio, ma anche Urbania ed un poco in tutto il Montefeltro, è diffusa l’usanza di preparare nel periodo primaverile (Pasqua) un dolce denominato “Bostrengo” o “Bustrengo” che si prepara sfruttando ingredienti facilmente conservabili (noci, fichi secchi, uva secca, mela, dolcificanti) con altri di produzione giornaliera (latte, uova) al fine di riutilizzare e non sprecare il pane secco.
Una tipica ricetta prevede:
500 grammi di riso; 250 grammi di nocciole e noci; 300 grammi di pane secco;1 litro di latte; 400 grammi di zucchero/miele; 150 grammi di fichi secchi; 200 grammi di uvetta; 100 grammi di cacao amaro; 3 uova; 400 grammi di zucchero; 1 mela; 1 bicchierino di liquore dolce; buccia grattugiata di 1 arancia biologica; zucchero a velo a piacere.
A parte il riso e l’aroma che viene fornito dalla scorza grattugiata di arancia, sono tutti ingredienti noti fin dall’antichità ed in particolare quando si assaggia questa torta si nota che il gusto prevalente che si percepisce è quello dei fichi e questo mi ha portato ad ipotizzarne l’origine in epoca molto antica, addirittura preromana.
Anche la conoscenza tradizionale di questo dolce che è diffuso nel territorio anticamente occupato dagli Umbri (Apecchio, Piobbico, Urbania, Montefeltro) sembra avvalorare l’ipotesi dell’origine.
Le Tavole Ikuvine, in cui leggiamo della tribù Kasilate che occupava secondo una interpretazione logica e ragionevole inizialmente il territorio di Apecchio, dal quale si era poi allargata fino a Piobbico e Urbania, in molte delle cerimonie religiose ivi descritte fanno riferimento all’uso di torte sacrificali.
Ad esempio nella tav. VIa e VIb testualmente si legge: “tases persnimu seuom. surur purdouitu, proseseto naratu, prosesetir mefa spefa, ficla arsueitu, aruio fetu, este esono heri uinu, heri poni fetu, uatuo ferine fetu” ….”prosesetir strusla, ficla arsueitu”.
“In silenzio si preghi la formula sevo. Quindi si sacrifichi, i visceri si dichiarino (non difettosi), ai visceri si aggiunga la torta mefa e la ficla. Si offrano i grani. Questo sacrificio si compia sia con il vino sia con la bevanda. Le vittime si offrano sul tavolato” ….”ai visceri si aggiunga la torta strucla e ficla”.
Sono tanti gli altri passi delle tavole che descrivono le varie cerimonie, per l’espiazione, in onore della bevanda, in onore del cane rosso, per la lustrazione/benedizione, per i responsi/ vaticini ed in queste cerimonie compaiono, oltre al vino ed alla bevanda, altre torte denominate farsia (dedicata a Marte), tensedio, petenata, arclataf.
Naturalmente oggi è difficile immaginare di quali torte si possa trattare, se non con uno sforzo di fantasia e di immaginazione con il paragone alle torte tradizionali ancora gustate nelle nostre zone.
La torta farsia sicuramente era una semplice torta di farro, come la mefa poteva essere di miele e farro e la strucla o strusla poteva presentare l’aggiunta di grasso animale (strutto) come ancora oggi si è soliti fare nel preparare la sottile piadina romagnola o la nostra torta cotta sulla piastra di pietra denominata “crostli”.
Non abbiamo idea del tensedio, forse si trattava di una pasta sfoglia probabilmente fritta, e possiamo ipotizzare che petenata e arclataf si possano riferire alle modalità di cottura dato che probabilmente si preparavano sul posto, cioè graffiata/pettinata con la forchetta in modo che vi risultino impresse delle righe parallele o arcuata a causa della cottura sulla brace che provoca la deformazione.
La torta ficla era probabilmente fatta impastando i fichi ed altri frutti secchi con uova, latte e pane secco recuperato et voilà il bostrengo degli antichi umbri!